Caro Presidente, salve, mi chiamo Alberto. Sono nato e
cresciuto a Campascio. Ho fatto le scuole e tutto il resto nel comune di Brusio.
Suonavo la fisarmonica. Da piccolo avevo anche un cane. Ho sempre lavorato e
pagato le imposte. Arrivato a cinquant’anni, dopo decenni che mi recavo
regolarmente alla posta per spedire le mie lettere, un giorno, d’improvviso, mi
hanno detto che avrebbero chiuso, forse l’anno seguente. Ho avuto delle
perplessità ma il postino mi disse che erano solo delle idee e di non farci
troppo caso anche perché se fosse stato il caso il Comune ci avrebbe sicuramente
pensato. Non me ne sono preoccupato subito ma alcuni mesi dopo, d’un tratto, lo
sportello della mia infanzia stava davvero chiudendo. Ho avuto una della mie più
grandi delusioni.
Per trovare una soluzione alla vicenda ho deciso di
traslocare a Campocologno, visto che lì ancora c’era un ufficio postale, dove
spedire le mie lettere. Tanto per ritrovare le mie sicurezze e trascorrere la
mia vita in modo sereno. Neanche a pensarlo che dopo poco anche lì mi dissero
che forse avrebbero chiuso. D’un tratto, non nascondo, una certa incazzatura
m’è salita e, parlando con il nuovo padrone di casa, destroide convinto, gli ho
esposto le mie perplessità. Lui mi disse: “..è tutto grazie alla
centralizzazione, che ci fa risparmiare molti soldi!”. Nella notte ho pensato e
ripensato a quelle parole e devo dire che fin circa alle tre ero dalla sua
parte ma dopo la pipì delle quattro ho avuto qualche sussulto e mi son chiesto
se a me tutto questo avrebbe davvero fatto risparmiare dei soldi. Son
tornato nel letto con la convinzione che a me di soldi in tasca non ne
sarebbero venuti anzi, sta moneta chi l’avrebbe intascata? E con questa domanda,
ahimé, mi sono riaddormentato.
Dopo qualche settimana, nel sentore di una nuova chiusura,
preventivamente, ho preso i miei pochi bagagli e il mio gatto, ormai cieco per
la vecchiaia e con il pacco di carta da lettere sotto il braccio ho traslocato
nuovamente. Così, da campascino convinto che mai l’avrebbe pensato mi sono
trasferito a Brusio. Per ovvi motivi nel Borgo. Un nuovo sforzo per rendermi la
vita più facile e con il pensiero di essere finalmente arrivato, giunto alla
destinazione finale. E il tempo rimasto, fino alla bara, l’avrei trascorso in
un Comune dove l’ufficio postale sarebbe stato sicuramente sempre aperto. Il
luogo dove pagare i conti, le imposte e tornare alla sana abitudine di
scambiare quattro chiacchiere con qualcuno, perché alla mia età sono quasi
sempre da solo. Soprattutto avere di nuovo la certezza di andare all’ufficio
postale per spedire le mie lettere. Un’oasi felice!
E così fu per alcuni anni dove mi sentii di nuovo libero di
vivere una vita normale, facendo le mie cose e scrivendo montagne di lettere. A
volte mi sono scritto da solo, tanto per tenermi compagnia, spedivo la lettera
e dopo un ridicolo “tour de Suisse” qualche giorno dopo la ritrovavo nella mia
bucalettere. Che gioia! Ma un giorno, come fosse un incubo, sentii nuovamente
sussurrare quelle parole: “l’ufficio forse chiuderà!”. Da subito mi son detto
che non avrei dovuto lasciarmi prendere dall’ansia perché il nostro Comune non l’avrebbe
mai accettato ed avrebbe reagito energicamente. Che chiudesse anche l’ultimo degli
uffici postali sul territorio comunale era impensabile e soprattutto
improponibile.
Poi ero convinto che i Brusiesi, che c’han le palle,
sarebbero usciti in piazza con falci e forconi piuttosto che accettare una cosa
simile. Tutto ciò purtroppo non l’ho visto e con la delusione nel cuore mi son
ricordato di quando, mia madre da giovane, andava a protestare per ottenere “il
voto anche per le donne” e l’ottennero, ma non senza lottare per davvero! Ma faceva
parte di un’ormai dimenticata generazione, che mostrava gli artigli per
riuscire ad ottenere dei diritti!
Invece, nessuna lotta convinta neppure da parte del Comune di
Brusio che, devo ammettere, durante l’informazione pubblica data dai portavoce
della Posta mi è sembrato avessero le braghe calate, come colui che si affretta
a correre dietro al primo larice per fare il suo deposito. Di fronte agli
oratori la popolazione, consapevole degli utili milionari del gigante giallo, succube
e che non gli rimane che accettare e ingoiare l’amara pillola, l’ennesima.
Deluso da tutto questo decisi nuovamente di spostarmi,
questa volta senza il gatto perché nel frattempo è passato a miglior vita. Ora
abito a Berna, dove sicuramente gli uffici postali rimarranno sempre aperti e
dove, in tutta tranquillità potrò per sempre inviare le mie molte lettere, come
questa, caro Presidente della Confederazione.
Ringrazio la politica per aver sostenuto le teorie liberali
sul libero mercato anche nei servizi come la Posta. Le stesse teorie che ci hanno
fatto credere che cedere la regia federale avrebbe creato della concorrenza, al
fine di mantenere vantaggiosi i prezzi per la popolazione. Le solite balle. Da
qualche parte la fregatura ci doveva pur essere e non ci sono voluti molti anni
per capire quale fosse. Nonostante il proprietario di Posta SA sia la
Confederazione, quindi anche noi, viene accettata l’esistenza di molti manager
da un milione l’anno e la chiusura degli uffici periferici, per contenere i
costi. Geniale la pensata! In questo modo i contabili possono scrivere solo
cifre nere con moltissimi zeri e assicurare ai capoccia degli stipendi assurdi
e soprattutto la distribuzione dei loro bonus! Con questo sistema anche la Confederazione
incassa dei bei soldi senza rischiare, a scapito dei servizi per la
popolazione. Ma in fondo chissenefrega, in tutto questo qualcuno dovrà pur
pagare no? E chi è più adatto della gente di periferia?
Inviandole questa lettera le mando il mio pensiero e la mia
analisi della situazione. La prego sinceramente di volermi correggere se in
qualcosa ho peccato di ignoranza. In fondo sono una persona di estrazione
rurale, un sempliciotto di periferia che ormai è abituato ad essere considerato
inferiore. Un “Cincali” sacrificabile sull’altare del massimo profitto.
Distinti saluti,
Alberto
Nerino
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